2020, l’ anno 0 della scuola italiana tra critiche e opportunità

Scritto da il 16 Luglio 2020

Diciamocelo una volta per tutte. L’anno 2020 per la scuola è stato il tempo che ha segnato profondamente l’assetto dell’intero sistema istruzione italiano. Molti tenderanno a minimizzare il profondo confine che intercorre tra la scuola “ante 4 marzo” e quella delle mascherine, delle visiere, dei pannelli in plexiglass, delle sedie roteanti, delle rime boccali; quella scuola dell’etica professionale, della navigazione pericolosa, delle lezioni sincrone e asincrone, della competenza dei docenti e dei dirigenti, della professionalità, del pionerismo della didattica a tutti costi, pur di farla questa maledetta didattica.

Pur di adempiere al dovere autentico dell’insegnante, quello di tendere la mano oltre che la penna, di esserci e di tenere alto il senso profondo dello studio e del lavoro, del successo e dell’insuccesso, dell’aspettativa di trovare dall’altro capo del filo telematico qualcuno che crede in te, che ti sprona, punta vincente sul tuo successo formativo, ti segue e non ti molla.

Quello della fase 2 è stato il tempo anche della nascita di una scuola che sperimenta consapevolmente lo spirito di iniziativa in condizioni non sempre favorevoli, senza i grandi mezzi promessi e poco visti, il tempo delle notti insonni, delle diottrie perse, delle storie di famiglie confidate, di quelle mai connesse, storie che pongono di fronte il problema del recupero dell’ultimo alunno, di quel che resta del rapporto umano ai tempi del covid. Un anno scolastico quello del 19/20 che nel bene e nel male ha fatto comprendere, per chi lo volesse davvero a viale Trastevere 1, alcuni aspetti che l’emergenza sanitaria ha solo evidenziato, un po’ come quando si riceve la torta in faccia, o una secchiata d’acqua gelida, così all’improvviso ci si rende conto che solo chi la scuola la regge e la sorregge ha salvato il sistema nazionale d’istruzione da un disastro assicurato.

E non si possono di certo negare gli sforzi dei DS che sono riusciti a destreggiarsi nel mare dell’incertezza normativa, i fantasmi delle linee guida che aleggiavano sulle nostre teste e sempre più tardi si sono palesati. Le reti territoriali delle istituzioni scolastiche sono state ancore di salvezza per l’orientamento operativo nella fase di emergenza, anche se il diritto all’istruzione, che doveva essere garantito a tutti, è stato assicurato solo in parte poiché le scuole più deboli hanno faticato il doppio rispetto alle scuole più all’avanguardia (chissà chi dovremmo ringraziare per questo?), eppur sono rimaste a galla, con l’amaro in bocca, forse, di non aver fatto abbastanza.

Non si possono negare le qualità uniche e preziose del corpo docente, per la stragrande maggioranza posto in trincea DaD, che munito delle proprie conoscenze e abilità, si è destreggiato tra applicazioni di videoconferenze e di programmazione didattica, tra l’approccio goffo – comico e quello super – competente che ha permesso una didattica apprezzabile; insomma chi ha potuto ha fatto prima ancora di ricevere il via assicurando alla Ministra che il diritto/servizio all’istruzione sarebbe andato avanti indipendentemente dalle sue parole nelle dirette Facebook o nelle conferenze stampa. E tanto altro ancora ci sarebbe da dire…

Ora, la questione che sovviene sotto l’ombrellone di una estate timida, tra una preparazione di insalate di riso e file rigorosamente distanziate, in attesa dei saldi è: che cosa abbiamo imparato da tutto questo? Cosa ci resta di questa esperienza che ci ha cambiati nel modo di vivere? E nel modo di insegnare? Il ventaglio di considerazioni raccolte è ampio, in un tempo in cui di solito la scuola cede il posto al relax sulle spiagge o sulle montagne, ma non quest’anno, purtroppo. Dobbiamo ripartire con coraggio!
Di certo, guardando indietro a questi mesi difficili, ne siamo usciti sì provati ma consapevoli di avere il dono dell’amore per quello che ordinariamente facciamo, dono che ci ha permesso di oltrepassare i limiti che ben conosciamo. Forse riconosciamo con più consapevolezza che insegnare è un’arte più che una professione; si vive più o meno del proprio talento e basta avere un pennello e pochi colori per creare qualcosa di ordinario che ha un non so che di straordinario.

Sicuramente abbiamo acquisito più autostima, quella stessa che i classici luoghi comuni sugli insegnanti, per decenni, hanno cercato di smantellare. Ci siamo arricchiti, è vero, nostro malgrado, rispetto all’utilizzo delle nuove metodologie e tecnologie, quelle stesse che guardavamo con sospetto – della serie ” io non lo farò mai”- eppure ce l’ abbiamo fatta!

Quello che ci ha lasciato il Covid è un messaggio importante, direi una nuova opportunità di vivere la scuola. La distanza serve a indebolire il virus ma non il magico legame che intercorre tra chi insegna e chi apprende. Questo stesso legame che ha bisogno di connessioni di menti umane che solo un ambiente di apprendimento riesce a creare e ad alimentare. Chi opera tra le mura della scuola non lo ha imparato oggi, lo ha sempre saputo, ma è questa l’occasione di farlo sapere, oltre le mura, anche a chi la scuola la nomina solo in tempi di elezioni.

Simona Mastroddi

Foto di Stephen Paris da Pexels


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