Pezzi di scuola: dagli alfabetieri anni 80 ai digital students

Scritto da il 7 Ottobre 2020

Io ho sempre vissuto nella scuola. Intendo proprio fisicamente.  Ero nella pancia di mia madre quando iniziò a fare le prime supplenze in paesini della Calabria Ionica. Ho sempre sentito il profumo di carta, quell’odore cosi invitante, che caratterizzava settembre, insieme al profumo di mosto vicino ai palmenti. Lo preferivo di gran lunga. Piccolina, piena di riccioli, mi mettevo a disegnare con pastelli mentre disperatamente si cercava di farmi mangiare. Ero fortemente attratta dalla gamma cromatica di quelle matite dall’odore inconfondibile, che avrei mangiato senza acorgermene. La scuola, come spazio fisico, era la mia seconda casa; no, forse direi anche la prima. Mia nonna era la bidella della mia scuola e insieme ad un mio compagno, segnato dalla stessa sorte parentale, entravamo prima della campanella, e uscivamo dopo, molto dopo, attendendo che i nostri rispettivi accompagnatori finissero di pulire le aule. Aveva le chiavi della scuola la mia nonna, che custodiva gelosamente; si affrettava ad aprire perchè sapeva che contemporanemente sarebbe arrivato il Direttore Didattico del quale era molto fiera; se ne curava non per dovere ma per stima, così come lui si curava di lei ogni volta che la vedeva stanca con quella bimba riccia che aveva sempre appresso.

La Signora Maestra veniva chiamata da noi bambini solo “Signora” in senso di un profondo rispetto verso il ruolo sociale oltre che pedagogico che ci era stato trasmesso. Sapevamo che era maestra nel momento in cui a casa, se avevamo combinato qualche guaio o non avevamo fatto il nostro dovere di bambini (cioè comportarsi bene e studiare), i nostri genitori emettevano in suo favore una sentenza di cassazione inappellabile neanche di fronte alla corte europea.

A distanza di oltre 35 anni ho dei ricordi così vivi di quella idea di scuola che a volte mi commuovo. Sono stata una bambina fortunata, ne sono sicura, ma mi viene spesso in mente che scuola adesso potrebbe raccontare  un mio alunno, se si mettesse  con carta e penna a raccontare la sua di storia.

Certamente di passi avanti se ne sono fatti rispetto alle tematiche inclusive e al raggiungimento del successo formativo di ogni alunno; la scuola di oggi guarda al digitale come ultima frontiera di metodologie pedagogiche, e si allinea al modello di istruzione europea attraverso il raggiungimento di competenze per la vita. Sono ottimi passaggi, ma se si chiede ai digital students, cosa rappresenta o ha rappresentato per loro la scuola,  le risposte non sono  certo incoraggianti, e certamente indicativi di un disagio sociale che spesso cede il passo a questioni politicamente più importanti. Una scuola moderna, all’avanguardia, ma che sembra confusa nel suo più profondo orientamento pedagogico, alla ricerca di nuove radici nell’attuale contesto sociale. Saranno le nuove generazioni a fornirci spunti per rigenerare il nuovo concetto di scuola e la figura della nuova professione insegnante.

 Simona Mastroddi, Monterotondo – Roma

Foto di Danielle Giberti da Pixabay 


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