Al termine di un anno rocambolesco

Scritto da il 29 Aprile 2021

Giugno è alle porte, ancora. Al termine di un anno rocambolesco, vissuto interamente in emergenza pandemica: sembrava una montagna insormontabile da scalare, è letteralmente volato via sotto i nostri occhi. Tutto è cambiato, nulla in fondo è cambiato, come ha dimostrato lo scompiglio generale causato dalla proposta del rientro al 100% per le scuole superiori, gettata sul piatto a metà del mese scorso.

Qualcosa di scoraggiante a volte, inutile negarlo, soprattutto per chi in quel cambiamento costante crede, o chi vede disattesi da anni promesse, impegni, desiderata. Pensiamo per esempio agli esami del primo ciclo, che per il secondo anno consecutivo si terranno in una modalità che molti si ostinano a definire diversa. Ma davvero dovremmo considerarlo tale? O non è forse vero che le modalità di conduzione dell’esame contenute nell’ordinanza sono le stesse che da anni si cercano di attuare, ma vengono puntualmente disattese da troppe commissioni, impegnate a perpetrare negli anni un modus operandi desueto e contrario a ogni buon senso pedagogico/didattico?

Il caro, vecchio, rassicurante incrocio tra un’interrogazione e un interrogatorio, che mette al sicuro discente e docente, in quanto punta alla stanca ripetizione di un copione scritto e, peraltro, già ampiamente valutato in corso d’anno. Nessuna delle due parti si mette in gioco, seguendo un percorso scritto, definito. “Cosa porti all’esame?” “Come colleghi le materie?”, sono le domande che più si sentono risuonare tra aprile e maggio nei corridoi delle nostre scuole.

Quando invece dovremmo chiedere ai nostri alunni che cosa li ha appassionati davvero nel loro percorso scolastico, quali interessi muovono il loro animo, a scuola e oltre la scuola. Ed è forse quell’oltre che spaventa tanti docenti, ma anche tanti studenti, abituati a correre come criceti sulla ruota del nozionismo, piuttosto che volare nei cieli spaziosi della conoscenza. Certamente un colloquio orale così, in cui il candidato deve poter esprimere “conoscenze, abilità e competenze acquisite sia nell’ambito del percorso di studi, sia in contesti di vita personale, in una logica di integrazione tra gli apprendimenti”, non si improvvisa in un mese, ma è il traguardo di un percorso scolastico in cui la didattica stessa deve cambiare, secondo criteri di cooperazione, attivazione costante del discente e ascolto empatico del docente, che smette di essere il direttore d’orchestra dalla predella, ma uno degli ingranaggi di una classe che apprende, un facilitatore, un esperto di maieutica, più che un amministratore di numeri e medie pesate.

Chissà che questa pandemia non sia ricordata a scuola solo come il tempo delle distanze, ma come quella scossa che ci ha obbligato a fare i conti con i nostri problemi a lungo irrisolti.

Foto di Steve Buissinne da Pixabay 


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