Pace | Se non ora, quando?

Scritto da il 14 Settembre 2022

Adesso che la guerra sta prendendo una piega più equilibrata se non addirittura una rapida via alla sconfitta della Russia, voglio continuare a porre le stesse domande ai molti che si sentono ucraini in pectore e orgogliosi occidentali vincenti. Non è ora il tempo di aprire trattative con i Russi, non è ora il tempo per garantire la sicurezza del nostro continente, attraverso il disarmo, il riconoscimento dei diritti umani, compresi tutti quelli violati in Ucraina: di parlare la propria lingua, di poter esprimere opinioni, di poter votare liberamente e non per i soli partiti legali (quelli che piacciono a Zelensky e ai fascisti al potere!) Non è forse ora il tempo di proteggere la libertà della Crimea di appartenere allo stato che crede? Non è questo il tempo per garantire la libertà dei mari e lo sviluppo dei popoli, di superare le frontiere armate e la pretesa di poter annientare il nemico portandogli i missili sotto casa?

di Francesco Bussi

Negli anni scorsi – e ancora più un anno fa – era il tempo di attuare quanto previsto dagli occorsi di Minsk per una Ucraina neutrale e di estendere la sicurezza della Russia e della UE con il disarmo bilaterale? Dimostrare di essere più forti non è il modo umano con il quale si è voluto uscire dal conflitto mondiale, vincolando le nazioni (unite) a un complesso di diritti sempre più ampio ed esteso.
Certo rappresenta i canoni della “politica realistica” della “geopolitica”, aggiornata dalle geografia della percezione e dell’auto percezione dei popoli e degli individui. Ma è qualcosa che ha un fondamento nell’idea che l’essere umano e le nazioni si affermano solo in contrapposizione violenta agli altri.

Eppure altri modi di gestire i conflitti esistono e sono da sempre praticati. Infatti ogni momento della vita individuale, sociale e internazionale ci dice che si cresce in umanità dove le spiagge sono incontri e non respingimenti, dove l’idea di rinunciare all’altro è più dolorosa dell’affermazione egocentrica di sé.

Si tratti di persone o di popoli o di concezioni ideologiche o di espressioni culturali. L’affermazione auto-elogiativa, egocentrica, auto-sussistente dell’Occidente è una delle peggiori perversioni a cui si possa cedere. È la dimensione per cui le sofferenze degli afgani e dei siriani, degli ucraini valgono solo per armare i nostri eserciti, ma non per dare rifugio ai profughi (a parte quelli che sono strumento della politica di potenza).

Ora, la responsabilità russa nella guerra è ineliminabile, ma bisogna riconoscere tutte le altre e quella fondamentale, consistente nel fatto che l’Occidente ha voluto ricostruire la condizione della Russia come nemica. Così come si vuole una Cina nemica.
Perché non spostare l’obiettivo e concordare strategie win-win piuttosto che vedere nell’annientamento dell’altro l’unica possibilità.
In gioco non può esserci il dominio del Mondo, questo mito della geopolitica è condizione “normale” solo a condizione che “mors tua, vita mea!”

Ogni attimo della esistenza contraddice questa condizione, solo la vita e lo sviluppo dell’altro, permette l’esistenza di ciascuno, persona, popolo, civiltà. Ovviamente certe realtà possono essere superate, quale l’identità di Stato e Nazione, quale l’idea che una nazione sia un monolite e non una costruzione storica materiale e ideologica, fatta di aspetti comuni di identità multiple.
È ora il tempo per l’Occidente di dimostrare l’adesione non formale ai principi che ha voluto nelle Carte dell’ONU e di cui si è fatto scudo in mille tragiche occasioni per muovere guerre, invece di accedere alle condizioni della pace dello sviluppo dei popoli e delle persone in ogni parte del Globo.

Ovviamente nulla di questo è nell’animo dei potenziali vincitori, chiunque essi siano. Ma l’incoerenza non è una virtù!

Foto Matt Brown/Flickr


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