INTEGRAZIONE E INCLUSIONE: QUALE DIFFERENZA NELL’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO?

Scritto da il 4 Ottobre 2020

Per parlare di inclusione, principalmente in ambito scolastico, occorre innanzitutto comprendere la distinzione tra quelli che, solo apparentemente, possono sembrare dei sinonimi: integrazione e inclusione. Fino a qualche decennio fa si parlava solo di “ inserimento ” degli alunni diversamente abili nella scuola comune. Questo termine fa riferimento ad un processo additivo, in base al quale si “aggiunge” un soggetto in più ad un gruppo, con il sottinteso intento di fare in modo che questi riesca in qualche modo ad adattarsi al “funzionamento” del resto del gruppo. L’inserimento è meramente un numero in più nel registro e si sostanzia nella coesistenza nello stesso luogo fisico, non pone interesse alla qualità degli scambi relazionali tra i soggetti compresenti. Questa filosofia ha portato, per molto tempo, ad identificare in una presunta “socializzazione” l’obiettivo fondamentale, se non addirittura esclusivo, della presenza dei “diversi” in classe, fino a trattare la socializzazione come obiettivo di riserva, atto a giustificare l’inclusione stessa: “L’alunno non ha imparato, ma ha socializzato” e tanto basta. Se parliamo invece di “ integrazione ” facciamo riferimento ad una relazione biunivoca tra il soggetto integrato ed il gruppo integrante, ovvero sottolineiamo il valore di uno scambio interattivo . Il soggetto “integrato” riceve dal gruppo e a sua volta dà qualcosa al gruppo stesso. L’integrazione presuppone il fatto che l’alunno “diverso” guadagni qualcosa nel contesto dei “normali”, ma a sua volta anche i compagni abbiano qualcosa da ricevere. E, in effetti, il contatto con un coetaneo caratterizzato da un diverso funzionamento impegna i compagni in uno sforzo cognitivo ed empatico altamente stimolante da diversi punti di vista, sicuramente arricchente. Una scuola che non confonde più l’integrazione con l’inclusione capisce che quest’ultima non va vista come un modo di “normalizzare” il diverso, ma principalmente come un modo per ripensare gli ambienti di apprendimento e renderli più fruibili per quella stessa “normalità” per cui sono stati concepiti. Un ambiente di apprendimento inclusivo si fonda su un’idea dell’apprendimento che porta ad una costruzione attiva e creativa delle proprie competenze, che sappia integrare e potenziare tutti i linguaggi, anche quelli diversi, in cui ci sia collaborazione e cooperazione, che riesca a promuovere il benessere di tutti, considerato un obiettivo fondamentale della scuola inclusiva. Ma quali sono le reali differenze fra integrazione e inclusione, con particolare riferimento all’ambiente scolastico? Sono entrambi aspetti di una condizione simile, ma hanno finalità diverse. L’integrazione si propone l’inserimento delle risorse per consentire il raggiungimento di risultati nell’ambito dell’autonomia, socializzazione, comunicazione. L’inclusione si pone l’obiettivo principale del superamento reale ed efficace delle barriere alla partecipazione e all’apprendimento. Il modello più diffuso di integrazione è quello che tende a riferirsi a un soggetto specifico, che si coordina con il percorso normale e con gli insegnanti di classe. L’inclusione è un processo continuo, quotidiano, in cui tutti gli insegnanti e i percorsi di apprendimento devono poter rispondere alle differenze dei vari soggetti, in un’ottica di sostegno distribuito. Essa prende il via da un cambiamento culturale interno, da ciò che si può fare partendo da ciò che abbiamo, dalla valorizzazione delle risorse presenti, dalla collaborazione tra persone con ruoli diversi, ma con obiettivi condivisi. Inizia integrando gli stessi insegnanti, individuando in essi risorse eterogenee, intese come competenze diverse, e però diffuse, messe in campo con finalità comuni, realizzate in condivisione. Non basta integrare le diversità. Occorre fare spazio alla ricchezza della differenza, adeguando, di volta in volta, gli ambienti, le prassi, in base ad ogni specifica singolarità. Si rende evidente la necessità di un pensiero costruttivo e compartecipe tra i diversi attori all’interno dei contesti scolastici, che determini la creazione di ambienti accoglienti e facilitanti le diversità, attraverso strategie educativo- didattiche che possano contribuire fortemente allo sviluppo e alla crescita cognitiva e psicosociale dei ragazzi in situazioni di difficoltà. È necessario rivedere punti di vista e il consueto operare nella relazione con gli alunni. Per fare tutto ciò, però, servono competenze diffuse in tutti gli attori coinvolti, una continua formazione, un efficace dialogo con le famiglie e con il territorio. Si tratta di un processo multidimensionale che mira a creare le condizioni per una piena ed attiva partecipazione da parte di ogni membro della società ad ogni aspetto della vita, anche a livello di processi propositivi e decisionali. Includere è ben più complesso che Integrare. Perché si realizzino appieno tanto l’una quanto l’altra condizione, si deve avere ben chiaro, però, il quadro di quali siano le condizioni che portino un alunno ad auto isolarsi o, nella peggiore delle ipotesi, ad essere isolato, emarginato e discriminato dal gruppo dei pari. Non può certamente esistere “inclusività”, intesa come la tendenza ad estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto, come anche la partecipazione a un sistema o a un’attività, senza un’approfondita conoscenza delle motivazioni che la ostacolino e impediscano. L’inclusività scolastica è, difatti, il mezzo migliore per promuovere l’integrazione culturale. Ricercare le cause che generano l’esclusione dell’alunno dai suoi simili e dalla vita scolastica, sta alle fondamenta per la costruzione di un efficace intervento pedagogico che miri al completo successo formativo, oltre che alla totale inclusione del soggetto nella comunità di cui fa e deve sentirsi parte integrante, attiva e apprezzata.

Carmen Leo

Foto di Gerd Altmann da Pixabay 


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