Andare oltre la solidarietà con le vittime e la condanna dei carnefici

Scritto da il 17 Marzo 2021

Indubbiamente la violenza sulle donne è problema di grande rilievo nel nostro Paese: a fronte della diminuzione degli altri reati contro la persona, il femminicidio e la violenza domestica non regrediscono.

di Francesco Bussi

La denuncia e la condanna dei colpevoli e la solidarietà e la pietà per le vittime non smuovono di un “et” il problema. Per questo è necessario andare oltre. La questione riguarda l’intera società: devono essere focalizzati i fini e i modi dell’educazione dell’affettività maschile. È indispensabile capire che cosa renda così difficile – spesso impossibile – per un maschio andare oltre una delusione, un fallimento amoroso e soprattutto perché sia così difficile trovare altre vie che non siano quelle della rabbia che si autoesaspera fino al parossismo e della violenza contro gli altri e spesso contro sé stessi (anche il suicidio è soprattutto un problema maschile, l’80% dei morti suicidi è costituito da uomini).

Focalizzare lo sguardo sulle vittime della violenza di genere in termini di pietà – o per dirla con le consuete parole di qualche trasmissione che fa spettacolo anche su questo: “Lei era una ragazza solare …”, “Lui era ombroso e facile all’ira …” – non solo non aiuta a capire, ma finisce per dar ragione al comportamento dello struzzo. Se volessimo fare un paragone con un’altra piaga sociale, l’alcolismo, dovremmo riconoscere che per porre rimedio alla devianza del singolo è necessario coinvolgere tutto il sistema delle relazioni affettive e sociali del suo contesto di vita.

L’educazione affettiva dei maschi e delle femmine è una corresponsabilità che va oltre il genere: non esiste una separatezza tra contesti educativi, maschili e femminili così marcata da escludere la responsabilità dell’uno o dell’altro genere. È quindi l’insieme dei valori maschili e femminili che si radicano nella coscienza individuale ad essere in causa. Ne consegue un’altra riflessione: la cultura che genera il maschio violento è la stessa che genera la femmina vittima della violenza.

Si rifletta poi sul fatto che il personale della scuola, la più importante istituzione educativa, è quasi completamente femminile. Andare oltre vuol dire coinvolgere la dimensione del “femminile” come problema nella nostra società. Questo non certo per attribuire colpe alle vittime, ma per riconoscere che l’educazione affettiva maschile e femminile sono due facce di una stessa realtà educativa e sociale. Un lavoro importante per affrontare il problema della violenza lo debbono compiere i maschi “sani”, perché è indubbiamente troppo facile considerare estranei a sé i comportamenti dei “violenti”, quando il brodo di coltura è analogo a quello del violentatore o dell’omicida.

Separare ciò che nasce dalla stessa matrice è un modo troppo facile per lavare le coscienze e restare ancorati a ritualità massmediatiche arroccate sull’elogio delle qualità della vittima e sulla marchiatura delle colpe o della degenerazione del carnefice, talvolta giungendo fino alla colpevolizzazione dell’appartenenza di genere. Come la comprensione del fenomeno mafioso (maschile per eccellenza) ci ha mostrato quanto grande sia il ruolo delle madri nel tramandare e sostenere la cultura della mafia, così si dovrà cercare quale sia il ruolo delle madri nella costruzione della cultura maschile violenta. La protezione delle vittime di violenze domestiche, infine, è strumento necessario per superare le condizioni immediate di pericolo, ma i rifugi sono destinati ad essere abbattuti, aggirati e violati.​

Foto: Pixabay

È indispensabile un cambio di rotta che investa l’intero corpo sociale e non riguardi solo chi si occupa per mestiere di questi temi.


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