Elogio semiserio ai docenti (nonostante tutto) pagati nel periodo di lock down

Scritto da il 12 Agosto 2020

Quella sera di fine luglio decisi di uscire. Basta stare appresso ai vari post della scuola, le paure e le ansie di come si dovrebbe ricominciare a fare il lavoro più bello del mondo che, spesso,  viene  confuso dall’italiano medio come l’occupazione più facile, o meglio, quella con più privilegi in termini di riposo e ferie. Finalmente una serata all’insegna della spensieratezza! D’altronde su tre mesi di “ferie” disturbati dalle incertezze, da rimandi di bandi, da interviste  di governanti abili a non rispondere alle poche (e sempre le stesse)  domande, da valanghe di soldi che ci travolgeranno dal prossimo anno scolastico, dovevo pur concedermelo un solo momento di pausa per rimettere in ordine quei pochi pensieri su chi sono io, oltre la scuola. 

E’ stato un anno assurdo, non solo per gli impegni di lavoro sempre più gravosi in una organizzazione scolastica che neanche il più contorto CDA reggerebbe il confronto, ma anche perché, cosa ormai nota, da marzo in poi il lockdown è piombato sulle nostre teste come un accorato monito sul cambiamento di passo nel mondo dell’insegnamento; chi è pronto è pronto, chi non lo è ce la farà lo stesso perché non c’è più tempo: “o si fa DAD o la Scuola Italiana muore”.  A queste parole (lo ammetto un po’ romanzate), che mi rievocano quel garibaldino vocativo “o Roma o morte”, ogni docente, con mano sul petto e tricolore addosso,  si è armato, all’italiana maniera, di un corso rapido sull’allenamento dei propri  polpastrelli  e ha iniziato un percorso di non ritorno verso la nuova frontiera della didattica digitale. Ben venga, ho pensato, sarà uno schiaffo morale a tutti quelli che pensavano che fossimo dei babbioni sommersi di libri impolverati, che nulla hanno a che fare con la maieutica socratica, con il vero senso piagetiano dell’educazione e della formazione! E’ vero, in questi fulminei passaggi, qualcuno lo abbiamo perso, ma non sarà un caso che nella scuola italiana l’età media di un docente è di 52 anni? 

Nonostante il tempo anagrafico ci abbia remato contro, ci siamo messi sotto e abbiamo sognato che forse anche noi, per certi versi, saremmo stati degli eroi del terzo millennio. Chi salvava vite h24 (e un riconoscimento prezioso non sarà mai abbastanza) e chi alimentava sogni e speranze dentro un monitor 13 pollici, chi non ha interrotto il rapporto speciale della conoscenza, del confronto, dell’esercizio,  delle relazioni attraverso il magico mondo delle emoji, dell’approfondimento, dell’insegnamento e dell’apprendimento. Eravamo, ci sentivamo tutti un po’ Alberto Angela o Odifreddi ai tempi delle preistoriche videolezioni di matematica su Nettuno,  peccato che, chiusi in casa, curvi che a Leopardi gli passavamo una pista, con le articolazioni che gridavano pietà! Nel periodo di restrizione, sono convinta, si sono maturate delle competenze che vanno oltre l’ambiente di apprendimento, si è fatta più educazione civica in questi 3 mesi che in anni di programmi ministeriali triti e ritriti. Eravamo italiani e  chi l’avrebbe mai detto che ne eravamo addirittura consapevoli. La solidarietà, il senso di appartenenza ad una Nazione, il nemico pubblico da sconfiggere tutti insieme,  i canti, gli appuntamenti sul balcone, i provvedimenti governativi, il rispetto di una regola, anche se non condivisa. Abbiamo ascoltato il Capo del Governo con rispetto e abbiamo tutti concorso per un fine, per il bene dell’Italia.

Mi convincevo sempre di più di un dato. Insomma, doveva arrivare questa particolare  forma di Coronavirus per farci ritornare ai veri bisogni primari di un Paese, la sanità e l’istruzione. Senza la pandemia,  è molto triste dirlo ma necessario, gli operatori sanitari non avrebbero avuto il giusto riflettore addosso e  il  valore del personale scolastico non sarebbe stato nemmeno nominato, e non avremmo avuto i banchi nuovi, pc per i ragazzi bisognosi, materiale disinfettante e pulizie approfondite. Mi sembra un sogno (o un incubo): abbiamo la normalità dei servizi in una condizione di emergenza. Un paradosso degno dei più celebri ragionamenti filosofici!

Ho pensato tutto questo fino a quella sera di luglio. La mattina seguente apro i social e immancabilmente  trovo una sfilza di post e commenti all’intervista della Ministra che in una trasmissione, ironia della sorte denominata “In Onda”, avrebbe così con la leggerezza estiva di una brezza marina, puntualizzato che i docenti, nel periodo del confinamento sono stati comunque pagati (nonostante il giornalista avesse azzardato ad una forma volontaria di insegnamento, soprattutto nelle primissime fasi di emergenza,  di certo non annoverata nel CCNL  che implicasse orari, tempi e impegni non paragonabili all’ordinario  –nda). 

Aspetta un attimo Lucì, ho capito bene? Leggo e rileggo per non incorrere in fraintendimenti, cerco di convincermi che un politico a capo di un dicastero così delicato non possa aver detto questo. Che caduta di stile! 

Eh no, non ci sto! non ci posso più stare! Adesso basta con questi giochetti Ministra! Senza i docenti “ordinariamente pagati” tu, e perdona la confidenzialità del messaggio,  non saresti stata capace di portare avanti niente, e ancor più non avresti potuto fare i tuoi tanto lodati Esami di Stato e quelli anacronisticamente definiti di Licenza Media, non avresti potuto parlare nelle dirette social delle meravigliose esperienze di docenza e umanità di tutto il Paese,  di quel bimbo della scuola dell’infanzia che abbraccia virtualmente la sua maestra o di quel ragazzino disabile che sorrideva alla visione dei suoi compagni sul suo monitor, di quei tuoi e miei colleghi, di sostegno e curricolari, che non hanno fatto mancare la loro presenza h24 ai bambini in difficoltà. Pensa, tutto questo è accaduto in un tempo che difficilmente si potrebbe definire “da contratto” (ebbene sì, c’è un contratto che noi docenti, la maggior parte di noi,  tende a non considerare, perché, in fondo tu lo sai bene,  l’emergenza a scuola è costante, c’è sempre stata, e ci accompagna da sempre in ogni nostra azione pedagogica, organizzativa e formativa e in fin dei conti molti docenti, misure restrittive di movimento domiciliare a parte, non hanno percepito differenza di carico, perché “quando la scuola chiama”, noi ci siamo).

Tutto questo lo puoi raccontare non per tuo merito, o per il grande lavoro del tuo ministero, ma per la professionalità (al prezzo di un contratto scaduto), che si è spesa, come sempre ha fatto, per il successo formativo di ogni alunno. Nessuno è rimasto indietro, soprattutto in termini umani, perché a tutti abbiamo teso una mano, nonostante non fossimo Steve Jobs e Bill Gates. 

Ciò che ti sfugge è che anche se siamo stati pagati lo stesso,  diverso, e molto più corposo, è il lavoro che abbiamo sostenuto in termini di progettazione didattica di rimodulazione dei contenuti, di lavoro digitale. E tutto questo ha preso molto più tempo di quanto potessi immaginare. 

Io ti seguo Lucia, ti seguo e ti ascolto, e non metto pregiudizi sulle tue intenzioni politiche e governative, ma le parole che dici sono importanti (così come sono le nostre per i nostri alunni) soprattutto quando ad ascoltarti non sono solo le famiglie che cerchi giustamente di tranquillizzare, ma i tuoi stessi docenti e, in nome della professionalità  e della dignità dell’insegnante ormai messe da tempo  sotto i piedi,  una scivolata del genere non la posso tollerare!

Simona Mastroddi

Foto di Julia M Cameron da Pexels


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