Sangue e silenzio in Guinea: oggi la luce?

Scritto da il 13 Settembre 2021

Silenzio

Oggi la Guinea Conakry è conosciuta ma per anni c’è stato silenzio. Nessuno ne ha mai parlato in Italia, nonostante i giacimenti di bauxite.

Occorreva guardare la TV francese per sapere qualcosa, giusto perché la Guinea apparteneva a loro nei neri capitoli del Novecento.

Stiamo parlando della Guinea Conakry, definita repubblica sui manuali di geografia, ma per anni regime; è normale che molti fuggano da questo territorio che si affaccia a occidente sull’Oceano Atlantico mentre a nord confina con il Mali.

Si parla di migranti ma non si parla delle ragioni che originano questo fenomeno. L’opinione più diffusa è che i neri non si sappiano governare, che la civile colonizzazione abbia deposto semi di civiltà in un deserto umano. Interessa, alla Germania, l’emigrare di siriani laureati; a volte si parla della Nigeria perché Boko Haram fa paura. La situazione dell’Africa subsahariana è drammatica ma le periferie del mondo contano poco per l’opinione pubblica europea. Emigrano quelli del ceto medio, quelli che hanno i soldi per i trafficanti di uomini ma noi non lo sappiamo.

Sangue

Il Mali è l’unica speranza di fuga, un territorio chiave per arrivare in Libia; se ci si arriva.

Quando sono arrivato in Mali, ho pagato un autista perché riportasse indietro due bambini di dodici anni. Una lite durata ore perché chi ci traffica ci deve portare avanti, non è previsto tornare indietro.

Chi racconta è C, di etnia malinke, la stessa dell’attuale presidente Alpha Condé. Eletto nel 2010 per aver combattuto contro il precedente regime, Condé ne ha instaurato un altro ma nessuno ne parla.

Sono entrati nelle case della gente e hanno sparato. Mio padre è in carcere da otto anni, non so neppure se sia vivo o morto, mio zio è stato ucciso ieri.

Chi parla, chi racconta questi fatti, non piange. Ha già visto troppe morti e ora vuole studiare per tornare in Guinea e cambiare la situazione. Di etnia peul, sta dalla parte di Cellou Mamadou Dalein Diallo che ha vinto le elezioni comunali.

Non so se mi spiego: stanno uccidendo perché ha vinto un sindaco dell’opposizione, non per l’intero potere esecutivo.

Ma non c’è da stupirsi: qui si ammazzano anche per un capo di quartiere.

Diallo non ha paura di denunciare la situazione della Guinea:

Che cosa possiamo fare oltre che lottare contro un regime che uccide, affama, segrega. Un regime cinico e senza riguardi per le vedove e gli orfani. Un regime che non ha alcun rispetto per la parola data. Un regime che si dimentica di sognare e di educare. Nonostante ciò l’accordo politico del 12 ottobre era un impegno preciso ma noi constatiamo che l’indennizzo delle vittime delle violenze politiche non è stato avviato. Non è stata aperta alcuna inchiesta per identificane gli autori.

Viva la repubblica. Viva la democrazia.

Per quanto le persone andassero al voto e Diallo vincesse ma le rappresaglie erano continue e alla fine si confermava il regime.

Oggi la Guinea sembra essersi liberata: con un golpe, non grazie a un’elezione. Siamo certi che il  colonnello Mahamady Doumbouya sosterrà Diallo o assisteremo alla creazione di un nuovo regime?

Sono giorni bui questi della Guinea o di luce?  Nessuno lo sa.

Se ne parlerà forse nei CPIA (nati come scuole per adulti e divenuti una frontiera che aiuta i migranti a conseguire la licenza media) mentre i governi europei  volteranno lo sguardo altrove e non potranno essere di supporto in un momento in cui si avvicinano altre guerre: quelle civili che abbiamo dimenticato nel breve spazio di un secolo.

Cala una notte pesante anche sull’Europa.

Rosa Johanna Pintus

Foto World Bank Photo Collection/Flickr

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