Mille domande sull’inclusione

Scritto da il 5 Dicembre 2020

In questo periodo di emergenza sanitaria, la condizione degli alunni e delle famiglie che hanno problemi di disabilità si è fatta più drammatica e la pressante domanda di aiuto investe ed interroga anche la scuola.

Qui in Campania, dove la didattica in presenza è sospesa già dal 15 ottobre, si è tentato di dare una risposta inclusiva consentendo le attività in presenza agli alunni con sindrome dello spettro autistico o, comunque, con disabilità certificata. Molte scuole, compresa la mia, hanno risposto all’appello e hanno avviato una progettualità che ha riportato in classe bambini e ragazzi disabili con i loro docenti di sostegno, ma senza i compagni e senza quell’ambiente di apprendimento vario e stimolante che solitamente caratterizza le scuole.

Di qui la domanda che ci tormenta: si tratta di vera inclusione, o, piuttosto, di un intervento assistenzialistico che poco ha a che fare con la scuola e la sua funzione educativa a tutto tondo?

A partire da questo interrogativo, mi piacerebbe sottoporre i lettori ad una riflessione più ampia che parte dall’attuale situazione, ma che investe la problematica dell’inclusione a più ampio raggio.

Sono convinta che dai tempi della legge 517/77, passando attraverso la grande conquista costituita dalla 104/92, e, da ultimo, con il decreto legislativo 66/2017, molti progressi siano stati fatti sulla via italiana verso l’inclusione che, per molti aspetti, rappresenta un modello di riferimento anche per sistemi scolastici diversi dal nostro.

Ritengo, tuttavia, che occorra interrogarsi seriamente e senza retorica sulla realtà che ci circonda, su quanto sperimentiamo e viviamo come scuole e su quanto vivono (e direi patiscono) i nostri alunni con disabilità e le loro famiglie.

La mia esperienza è questa: ogni anno, anche prima dell’attuale emergenza, si apre con un organico di sostegno insufficiente rispetto ai bisogni effettivi; si registra un avvicendarsi di docenti che non possono garantire continuità nel tempo all’azione didattica, il che costringe gli alunni ad un continuo riadattarsi e ricostruire relazioni e routine educative.

 Ancora: è stata attuata quella rete di sostegno interistituzionale pensata dalla legge 104 per fare da impalcatura di sostegno la disabile e aiutarlo a realizzare il suo progetto di vita?

Vedo ogni giorno genitori di bambini e ragazzi con gravi problemi combattere contro la burocrazia, contro le liste d’attesa infinite per accedere alla riabilitazione, contro l’assenza di “facilitatori” concreti. E vedo anche che chi ha più conoscenze, caparbietà e strumenti culturali riesce ad ottenere di più di coloro che sono più fragili e meno scaltriti. In questo modo si finisce con il rendere ancora più profondo il solco che divide coloro che sono svantaggiati da tutti gli altri, cosa che, in tempo di Covid, diventa ancor più evidente ed insopportabile.

E’ giusto tutto ciò? La domanda è retorica e non riguarda solo una regione,  ma è problema condiviso.

Se sapremo dar voce alle nostre riflessioni e dare forma ad una inclusione che non rimanga solo teoria, ma divenga pratica quotidiana, riusciremo certamente a far crescere tutta la società, a far in modo che davvero la persona con disabilità sia pienamente riconosciuta come persona e come cittadino.

Anna Maria Cioffi

Foto di Wokandapix da Pixabay


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