27.01.1945-27.01.2021 Per continuare a ricordare. La storia di Matteo

Scritto da il 27 Gennaio 2021

La storia che racconto non è la mia storia, ma non per questo non mi appartiene. Perché ci sono storie, dopo che le hai sentite, che ti obbligano a riflettere, restano tue e ti cambiano. Per questo, ho deciso di narrarla in prima persona, cercando di trascrivendola con la stessa autenticità con cui mi è stata riferita, confidando di riuscire a condividere, con chi legge, la stessa emozione che ho provato nell’ascoltarla.

La storia inizia qualche anno fa in una classe, una prima elementare di una città del nord Italia, in un contesto socio- culturale “evoluto”, quello che nel linguaggio comune viene ancora definito come un “quartiere bene”. Un bambino, che chiamerò Matteo, è vivacissimo, gioca con tutti, ma non sempre c’è armonia: “Maestra, Matteo dice che chi non è amico del Duce non è suo amico! Ma chi è il Duce?” Sorrido, ma si incista un lieve sentore di disagio che esorcizzo rassicurando il bambino, senz’altro ha capito male. A casa ci ripenso, si fa largo un dubbio, così comincio a tenere d’occhio il Matteo, osservandolo con molta attenzione nel corso delle settimane successive, dimostra capacità di apprendimento notevoli, sembra aver conoscenze più avanzate rispetto ai compagni. Un giorno, lo vedo arrivare a scuola con una spilletta sulla maglietta che ostenta con orgoglio, mi avvicino. Non si tratta della solita “pin” che ritrae un super eroe dei cartoni, o un “brand” molto amato, e nemmeno è quella di un gruppo musicale, e pure avendo la forma di un’aquila, niente ha a che vedere con il gadget di un’associazione ambientalistica. L’aquila stampata sulla spilletta è quella della Repubblica di Salò, c’è anche una scritta che recita: “caporale di giornata”! “Maestra! Oggi tocca a me! Il mio papà mi ha nominato caporale, oggi!”. Approfondendo la questione, verrò di seguito a conoscenza che il padre, mettendo i figli in competizione, di volta in volta, militarescamente, premia quello che si è distinto per meriti che, non avrò difficoltà a comprendere, si riferiscono ai frutti dell’indottrinamento ideologico al quale assiduamente li sottopone. Resto basita, ma non riesco a immaginare neppure quanto lo sarò ancor di più sino al momento in cui, con le mie colleghe, ci confrontiamo con le insegnanti della scuola dell’Infanzia frequentata da Matteo. Agli eventi da me descritti se ne aggiungono altri, se mai possibile, ancora più inquietanti: W IL DUCE! scritto sulla lavagna, non appena ha imparato a mettere insieme le sillabe, un atteggiamento oppositivo durante le attività di lingua Inglese, con un congruente rifiuto ostinato di usare segni comunicativi di origine anglosassone durante il gioco, come “batti il cinque!”. Il sorriso estraniato delle “vecchie” maestre sembra collocare gli episodi narrati all’interno di una bolla surreale, e col timore di chi, quasi scusandosene, sapendo di riferire su eventi delicati e di difficile credibilità, tende a celarli: “Non ve lo avevamo detto apposta, volevamo vedere se questi atteggiamenti continuavano, non volevamo indurre in voi un atteggiamento pregiudizievole… la famiglia di Matteo è una strenua sostenitrice del fascismo mussoliniano!” Coadiuvata da una collega, redigo una relazione alla Dirigente Scolastica perché ritengo, non senza un pizzico d’ingenuità, che vada opportunamente condivisa la necessità di tenere sotto controllo la situazione, monitorandola nei suoi sviluppi. Rifletto sul fatto che Matteo crescerà e che tali atteggiamenti, qualora non controllati, potrebbero rinforzarsi ed ingenerare difficoltà e conflitti in classe. Sono allarmata perché percepisco l’impegno di una responsabilità educativa che assiduamente riconduco a principi di libertà e democraticità, principi nei quali, comprendo, non si rispecchiano altrettanto i genitori di Matteo. E tuttavia, resto speranzosa che, seppure tra mondi tanto distanti, un incontro possa comunque compiersi, e così attendo il colloquio con i genitori per la consegna della prima “pagella”. E ne arriva il giorno, ho di fronte una bella giovane coppia, entrambi laureti con lavoro prestigioso, stile comunicativo cortese e assertivo. I voti nelle discipline sono ottimi, mi chiedono del comportamento, ho finalmente modo di riferire su episodi che ritengo “allarmanti”… mi espongono pacatamente le loro convinzioni che, mi dicono, fondate su studi personali e di ricerca e mi chiedono di non ingerire nelle loro scelte politiche, aggiungono che il bambino era stato assente nella giornata della Memoria deliberatamente, non riconoscendone loro il valore testimoniale, e che così sarebbe stato da allora in avanti. La mia risposta è altrettanto sicura, forse solo un po’ irruenta, contaminata dall’emozione: “la Scuola è un’Istituzione che risponde a fini Costituzionali, la Costituzione è antifascista e le nostre leggi definiscono l’apologia del fascismo come reato, ed io, quale pubblico ufficiale, ho l’obbligo di rispettare e far rispettare le leggi dello Stato”. E, dunque, li invito a compiere un’approfondita riflessione sul percorso educativo che intendono far seguire al loro bambino. Ci salutiamo con cortesia e l’impegno di entrambi di riflettere sulla questione. E siamo ai nostri giorni, sono trascorsi 5 anni da quel colloquio: Matteo non ha cambiato scuola, è cresciuto evitando il più possibile di esternare in classe le ideologie che maturava in famiglia. Evidentemente, il richiamo all’apologia del fascismo come reato aveva convinto i genitori sull’opportunità di censurare gli aspetti più esteriori della propria “aberrazione ideologica” e, nel corso degli anni, tra me e Matteo si è andato costruendo un affetto autentico nei confronti del quale i genitori hanno ritenuto opportuno di non interferire. Raccontata sino a questo punto, la storia sembrerebbe trovare, seppur forzosamente, e un po’ sopra le righe, il suo sereno epilogo, se non fosse che il “Giorno della memoria” è rimasto il Tabù, limite invalicabile, conflitto insanabile tra questi genitori e la scuola. Per cinque anni, la settimana che intreccia il 27 gennaio ha aperto occasioni di “confronto-scontro” sempre molto impegnative. In seconda Matteo dichiara in classe, senza esitazione, che “Gli Ebrei sono quelli che hanno ucciso Gesù”. In terza la visione in classe del film “Ladra di libri” viene contestata dalla famiglia perché attività non anticipatamente comunicata. In quarta, con la scuola nominata “Polo cittadino per il Giorno della memoria”, sempre dai genitori di Matteo, vengo invitata a comunicare loro, in adeguato anticipo, le attività previste, affinché possano decidere se scegliere o meno di mandare il bambino a scuola, posto che il 27 gennaio la presenza è in ogni caso declinata. In quinta, pochi giorni fa, mi viene chiesto dal papà quali attività prevedo per celebrare la settimana della memoria, in ogni caso vengo invitata a “non forzare” la partecipazione del bambino, ancora una volta, irrimediabilmente esclusa il 27. E i Dirigenti Scolastici che, come ho detto, avevo provato a sensibilizzare? Dall’inizio di questa storia se ne sono avvicendati tre. Per ciascuno di loro le risposte sono andate dall’ “insabbiamento” delle segnalazioni, al “non calchi troppo la mano”, a “non ne faccia una questione ideologica”. Sono consapevole, la storia che racconto, seppur vera, può sembrare incredibile, e me ne capacito, non solo pensando alle convinzioni inaccettabili e negazioniste dei genitori di Matteo ma anche, e forse maggiormente, per l’atteggiamento evitante e collusivo di questi Dirigenti che considerano la Shoah una questione ideologica sulla quale, per calcolo di opportunità e quieto vivere, si può glissare. Come se fosse possibile di fronte a 6 milioni di morti! Sono un’insegnante di Storia, il mio percorso universitario mi ha portato a mettere al primo posto le fonti, non solo quelle scritte, che possono talvolta essere faziose e manipolabili, ma anche quelle materiali e orali grazie alle quali, ancora oggi, abbiamo inconfutabili testimonianze di quello che innegabilmente è stato e che, temibilmente, può tornare se ne nega o smarrisce la memoria. Come è possibile che nella Scuola dei nostri tempi possa prevalere la scelta pavida di “non sollevare polveroni” con i genitori, e si rinunci alla realtà, al racconto di un passato che ci guidi nel presente e nel futuro? Ed è appunto riflettendo sul futuro che comprendo quanto l’orrore della Shoah non ha concluso il suo terrificante macroscopico bilancio di vittime. A distanza di 76 anni dalla liberazione di Auschwitz, un bambino dalla sensibilità eccezionale che, ogni volta che si affrontano temi che riguardano la Storia del nostro Paese, come evoluzione verso la forma Repubblicana democratica, manifesta disagio, si sente sbagliato, o sente sbagliato il mondo intorno a sé, è anch’egli vittima di chi da quel terribile passato non ha tratto alcun insegnamento. Tra quattro mesi lascerò Matteo, andrà alle “medie”, e sebbene in coscienza possa riconoscere di aver fatto tutto il possibile per stimolare il suo pensiero critico e la capacità di riflettere, sono tempestata dai dubbi. E allora mi fermo a riflettere, mi torna in mente che lo scorso anno, in questi stessi giorni, nella sede simbolo della nostra Unione Europea, il Parlamento, appunto, la senatrice Liliana Segre richiamava il ricordo di una bambina, come lei deportata ad Auschwitz, che aveva disegnato una farfalla gialla che volava sopra i fili spinati del lager. Da “nonna elettiva”, rivolgendosi a tutti i bambini ha augurato loro “di essere in grado di fare la scelta e con la loro responsabilità e la loro coscienza essere sempre quella farfalla gialla che vola sopra i fili spinati”. Quale augurio potrei farti più bello anch’io, Matteo? Buon futuro, e che il tuo volo sia libero e responsabile sempre!

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay 


Opinione dei lettori

Commenta

La tua email non sarà pubblica. I campi richiesti sono contrassegnati con *



La Esse Radio

La Esse Radio

Traccia corrente

Titolo

Artista