I diritti negati: il diritto all’istruzione

Scritto da il 30 Giugno 2021

La consapevolezza e la necessità del diritto all’istruzione, teme caldo e dibattuto in questi ultimi tempi, sappiamo bene che si richiama ed è sancito dagli art. 33 e 34 della Costituzione della Repubblica Italiana. L’art. 33 della Costituzione afferma, infatti, che la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Secondo la Corte Costituzionale il diritto di accedere e di usufruire delle prestazioni, che l’organizzazione scolastica è chiamata a fornire, parte dagli asili nido e si estende sino alle università. Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato nell’esercizio delle funzioni che assume nei confronti dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione, seguendo i propri convincimenti di natura religiosa e filosofica. Tuttavia la prima e più tangibile minaccia a tale diritto dell’infanzia e dell’adolescenza è, senza alcun dubbio, la povertà. Da nuove stime risulta che, al giorno d’oggi, metà della ricchezza globale sia concentrata nelle mani di sole otto persone. Questo dato assume valenza ancora più negativa se si pensa che in Paesi come Brasile e India l’1% della popolazione detiene più o meno il 55% della ricchezza nazionale. Ma le diseguaglianze non riguardano solamente le nazioni in via di sviluppo. Nei Paesi industrializzati, “dal 1980 al 2016 la percentuale di reddito nazionale in mano al 10% più ricco è passata negli Stati Uniti (e in Canada) dal 34 al 47%, in Russia dal 21 al 46%, in Cina dal 27 al 41%”. L’Italia è un caso di studio perfetto per capire quanto avvenuto negli ultimi trent’anni in Occidente, dove l’aumento del numero di famiglie in condizioni di povertà assoluta è da imputare all’immobilismo reddituale – e, in alcuni casi, anche al disfacimento – che ha afflitto la classe media negli ultimi decenni. A non registrare alcun tasso di crescita reddituale è stata proprio la classe media – gruppo sociale un tempo preponderante nel contesto delle democrazie liberali occidentali e, fino a poco tempo fa, motore delle economie dell’area atlantica. In questo quadro che oggi risente, in modo significativo, dell’ “effetto covid”, l’accesso allo studio non implica, infatti, solo la frequenza della scuola dell’obbligo, ma anzi è proprio al di là di questa che si definisce il quadro delle maggiori discriminazioni sociali: il reddito, la composizione del nucleo familiare, la differenza tra centro e periferia, le prospettive occupazionali fanno la differenza in modo decisivo circa la possibilità non solo di accedere allo studio, ma di svolgerlo con regolarità, di essere nelle condizioni personali di viverne le potenzialità e la ricchezza. In una società omologata ed omologante, le contraddizioni emergono con forza e, spesso, dietro l’apparenza di uguale strumentazione tecnica e digitale, si cela il discrimine di ragazze e ragazzi che non hanno retto alle molteplici implicazioni di un isolamento sociale, non sono stati adeguatamente supportati dal nucleo familiare, non hanno, talvolta anche a fronte di condizioni economiche agiate, quel background culturale tale da reggere a quelli che sono ormai considerati gli effetti secondari della pandemia. Secondo una stima della Banca Mondiale, ci sarà un aumento dal 40 al 50% di bambini sotto ai 10 anni che non riusciranno a raggiungere il livello minimo di competenze nel periodo delle elementari: parliamo di più di 100 milioni di giovani che non sapranno leggere. Nei Paesi del Sud del mondo questa crisi porterà a un aumento della povertà del 15% circa, con 140 milioni di bambini in più che vivranno sotto la soglia minima. Senza la scuola a molti sarà impedito l’accesso ad almeno un pasto al giorno, all’acqua corrente, al sostegno psicologico. La cosiddetta “Generazione Covid-19”, purtroppo, rischierà di soffrire molto nel proprio futuro, a livello sociale e occupazionale.

Maura Melissano

Foto di Alexandra_Koch da Pixabay 


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