IL FANTASMA DI SICILIA: LA LATITANZA DI MATTEO MESSINA DENARO

Scritto da il 28 Novembre 2020

Un breve riassunto della latitanza di Matteo Messina Denaro, i suoi agganci, i suoi ricatti e la sua economia di “punciuti”.

Di Francesco Paolo Tona

Dal titolo potrebbe sembrare una leggenda di un giovane e aiutante eroe siciliano, ucciso ingiustamente che vaga ancora per la Sicilia in cerca di giustizia. Non è questo però l’argomento.

Questa è una storia vera, che ha però i connotati di una leggenda, e riguarda una persona realmente esistita e che, secondo le indagini, ancora esiste, e quella persona è Matteo Messina Denaro, capo del mandamento di Castelvetrano, condannato per le stragi avvenute a Firenze, cinque morti e quaranta feriti, Roma, danneggiamenti alle chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano e ventidue feriti, e Milano, cinque morti e dodici feriti, nel 1993 e, da poco, condannato anche come mandante della strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

La figura di Matteo Messina Denaro si propone in questo nostro paese così flagellato e martoriato da queste violenze come l’ultimo baluardo rimasto in libertà della vecchia mafia. Latitante dal 1993, è il criminale più ricercato d’Italia e uno dei dieci più ricercati al mondo: ventisette anni di latitanza in cui le Forze dell’Ordine hanno sempre fiutato la sua scia, arrivando più volte ad un passo dalla cattura; purtroppo però qualcosa è sempre andato storto. Partiamo però dall’inizio.

Chi è Matteo Messina Denaro? Cosa ha fatto? Perché è così sfuggente ed inafferrabile?

Ma, come nel più arzigogolato argomento filosofico, da una domanda si arriva ad un’altra domanda, a cui nemmeno la magistratura ha ancora risposto: che ruolo ha attualmente in Cosa Nostra?

Si è certi del fatto che lui sia il capo-mandamento della provincia di Trapani, sulla ha sempre fatto affidamento, trovando un costante appoggio omertoso da parte di parte della popolazione locale; si sa che Riina lo aveva designato come suo erede in quella Cosa Nostra che avrebbe voluto fosse addirittura più importante e potente dello Stato Italiano; si sa che ha dei parenti, ormai tutti in carcere per favoreggiamento, che ha una figlia, nata da una relazione clandestina, residente proprio a Castelvetrano.

“Pare poco!” dirà il lettore, ma questi elementi, per catturare un latitante, sono irrilevanti; o meglio, possono esserlo in base ad altre informazioni, riguardanti per esempio l’aspetto fisico o le abitudini, ma i collaboratori di giustizia che parlano di lui si contraddicono, esponendo storie diverse, che, ai fini delle indagini, risultano inutili.

Insomma, sembra che questo mafioso sia realmente un fantasma che vaga per il mondo senza lasciare traccia, ma non è così: Messina Denaro qualcosa ce l’ha indirettamente detta, e ce l’ha detta mediante i pizzini ritrovati quattordici anni fa nel casolare in cui fu arrestato Bernardo Provenzano e mediante quelli scambiati con Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano. “Alessio” è il suo pseudonimo.

“Alessio” parla di affari con Provenzano, si confida con Vaccarino, palesando una sottospecie di umanità: racconta i suoi problemi e i suoi dubbi filosofici e, leggendo questi pizzini, appare impossibile pensare che costui fosse responsabile di tanti morti che, a detta sua, erano così tanti da non poter essere posti tutti in un cimitero.

In fondo, Matteo ha ragione: ha iniziato a servire “Cosa Nostra” così presto, da ragazzo, obbedendo al padre, Don Ciccio Messina Denaro, capo-mandamento di Castelvetrano ai tempi della seconda guerra di mafia; e per questa Cosa Nostra lui ha fatto di tutto: ha ucciso, torturato, rapito, estorto e truffato. Cosa Nostra era tutto per lui, ma poi qualcosa è cambiato.

Matteo, rispetto ai suoi “colleghi”, era diverso, era appariscente, forse troppo appariscente, e fu proprio questa voglia di godersi la bella vita a fargli capire che i soldi erano importanti: Messina Denaro capisce che la bella vita la volevano vivere anche gli altri, capisce che i soldi piacciono a molti e che, chi ne ha, può ben approfittarne; e se prima il nostro fantasma viveva con palese dissolutezza, spassandosela con donne e amici fra un’ammazzatina e l’altra, ora invece ha cambiato strategia, puntando su dei nuovi mafiosi che mafiosi non sono: i “punciuti”.

Ai “punciuti” Matteo Messina Denaro affida i suoi beni, i suoi affari, i suoi appalti, gestendo l’economia, locale e non solo, al fine di ricavare una liquidità economica utile poi per l’accumulo di consenso, perché sì, “u siccu” rinsalda il proprio consenso sui soldi. E proprio grazie ai soldi ha potuto preservare la sua latitanza.

Se questo latitante “aiuta” col suo denaro sporco di cocaina e cemento, è utile.

Per questo la DDA di Palermo ha cercato di stringere il cerchio intorno a lui arrestando i fiancheggiatori e sequestrando i beni, per fargli perdere quel consenso che è stato purtroppo immutato nel tempo.

Ma Matteo è diverso dagli altri mafiosi: lui si tutela anche con dei segreti, col ricatto; di quella stagione stragista, in cui la mafia e qualche ente deviato dello Stato fecero la guerra al nostro Paese, lui sa tutto: nomi e fatti irrivelabili, i quali rischierebbero di mettere in acque tempestose politici e uomini delle istituzioni, taluni ancora presenti sul panorama nazionale. Giovanni Brusca, durante la sua collaborazione, disse che Riina gli aveva confidato che gli unici altri a sapere dell’intera strategia fossero Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, uno è condannato e mai parlerà, mentre l’altro è ancora a piede libero. E quindi l’altra arma è il ricatto.

Soldi e ricatto. I due pilastri fondanti di questa latitanza che appare come eterna.

Questo è Matteo Messina Denaro: un fantasma con una Merit in bocca e il rolex che aleggia sul mondo, con i suoi viaggi, i suoi investimenti e i suoi contatti con l’altra organizzazione mafiosa più potente, la ‘Ndrangheta.

Chissà cosa ora starà facendo il pluriomicida che codardamente si nascondeva dietro lo pseudonimo “Alessio”. Conta dei soldi? Prepara degli affari? Oppure studia nuovi attentati, come ha dichiarato Alfredo Geraci, studia nuovi attentati?

A quel che è stato dichiarato da quest’ultimo e da Vito Galatolo, un altro mafioso, Messina Denaro aveva ordinato l’acquisto di 150 chili di tritolo per colpire il pm Antonino Di Matteo, fautore del processo “Trattativa Stato-Mafia”. La procura di Caltanissetta ha archiviato l’inchiesta tre anni fa, ma, come riporta la procura, “L’ordine di colpire Di Matteo resta ancora operativo”.

Dunque torniamo alla domanda: chi è ora Matteo Messina Denaro?

Come vedete, le risposte possibili sono tante e le dichiarazioni sono discordi, dunque nemmeno il resoconto dettagliato della sua vita, delle operazioni e delle inchieste che lo hanno coinvolto non può essere qui spiegato per non tediare il lettore.

Una sola massima mi sarà utile per chiudere: come possiamo contribuire noi all’arresto di questo boss?

Ci sono decine di faldoni riguardo rapporti intrattenuti fra politici, imprenditori, massoni e il fantasma di Sicilia. Informiamoci e, memori dei due pilastri su cui si fonda la sua latitanza, non diamogli consenso nemmeno col silenzio. Schieriamoci e facciamo la nostra parte, scegliendo la legalità tutti i giorni.

Solo così, quando un giorno un poliziotto o un carabiniere gli ammanetterà i polsi, potremo sentirci come se l’avessimo fatto in prima persona.

bibliografia

Giacomo di Girolamo, Matteo Messina Denaro: L’invisibile,Il SaggiatoreSALVO PALAZZOLO, ATTILIO BOLZONI, CARLO BONINI, LAURA PERTICI, GIORGIO RUTA, I ricatti di Matteo Messina Denaro,Repubblica del 16/07/2020


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