Clima familiare e DAD: un aiuto dallo Sportello Psicologico Scolastico

Scritto da il 22 Marzo 2021

L’apprendimento e la serenità dei nostri ragazzi è messa a dura prova dalla Didattica a Distanza: dalla “perdita di umanità” dei professori e dei compagni, tagliati dal monitor e “presenti” in un altro luogo, lontani non solo fisicamente ma anche emotivamente, alla posizione statica, alla sindrome da primo banco, alla connessione che a volte sembra fatta apposta a rallentare quando c’è una interrogazione, alla diffidenza che si legge nelle parole e nella tensione dei docenti, che spesso suppongono un fermo immagine attivato dai ragazzi, all’utilizzo di espedienti, quali, lo specchio dietro alle spalle dell’alunno, o, ancora la benda sui loro occhi. Si cade nel paradosso: docenti e alunni sempre più strateghi, sempre più tesi, contratti. La sfiducia diventa sempre più pervasiva. Questo su un versante. Sull’altro il clima familiare che inevitabilmente si è modificato e spesso malamente ristrutturato: i luoghi della scuola, del lavoro confluiscono nelle mura domestiche alterando dinamiche familiari. Dispositivi condivisi con i fratelli, spazi sempre più ristretti (mai la casa ci è apparsa così piccola) in quanto occupati contemporaneamente e spesso da tutto il nucleo familiare: il setting dell’apprendimento diventa parte delle relazioni familiare, non c’è più quella sana separazione che permetteva di vestire gli abiti mentali dello studente. La confusione dei confini fisici e mentali crea disorientamento. Mamme o padri che cercano di ascoltare la lezione dei docenti o l’interrogazione del figlio, fratelli urlanti o costretti ad abbassare il volume della radio o del proprio PC perché catapultati in un’altra aula virtuale. Tensioni scolastiche e familiari che si intrecciano rendendo l’apprendimento sempre più complesso. La scuola, intesa come sistema, ha cercato di fronteggiare i disagi percepiti dagli studenti, dalle famiglie, e dagli stessi docenti, promuovendo e finanziando uno Sportello Psicologico in ogni Istituto. Ora occorre “solo” superare quello scetticismo che ci porta a pensare che il malessere e il disagio percepito possa diventare uno stigma, imparando ad esplorare la nostra dimensione emotiva con serenità e maturità.

Foto di Marc Thele da Pixabay 

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Opinione dei lettori
  1. Anna Adriano   Di   27 Marzo 2021 alle 16:47

    Il disagio evidenziato nell’articolo è evidente e ancora più marcato in situazioni di background socioeconomico svantaggiato. Pochi sono i “fortunati” che possono godere di spazi in cui gestire le video-lezioni e lo studio autonomo; la maggioranza degli studenti italiani si arrangia come e dove può, spesso da cellulare. Tuttavia, quando esattamente un anno fa abbiamo tutti iniziato a vivere il copione di uno di quei film catastrofisti che girano sulle reti private, la “nuova” scuola a distanza è stato l’unico gancio che ha permesso a tutta la grande comunità scolastica di restare ancorata alla realtà, alla “vecchia” vita normale. Per i ragazzi di ogni ordine e grado è stata una forma di continuità salvifica. E per i docenti? Sicuramente una sfida e un impegno di una responsabilità mai immaginabile precedentemente. Quale è stato il “nostro” disagio come formatori ed educatori? Lo stesso dei nostri alunni, lì dove è sparita quella sana linea di demarcazione tra “servizio” e vita privata, con in più un carico di lavoro caratterizzato dall’assenza di orari, distanze di ruoli, compiti definiti. Sì è fatto l’impossibile per colmare quel vuoto creato dall’assenza fisica. Come stiamo tutti adesso, adulti e ragazzi, insegnanti e studenti? Siamo ancora straniti, indecisi se ci manchino le aule e i quaderni segnati da correzioni o, se forse, adesso ci siamo disabituati e ci fanno un po’ paura.

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