LA BUONA DAD

Scritto da il 12 Aprile 2021

Non entro più in aula da un anno ormai, eppure dallo scorso marzo la scuola è entrata in maniera pervasiva in casa mia: la mia scuola, un liceo classico, e quella delle mie figlie, un liceo scientifico e due terze medie. Posso dunque dire che il mio piccolo appartamento di 95 mq è frequentato mediamente da 6 classi al giorno (3 mie ed altrettante delle mie figlie), 25 insegnanti (8 per ciascuna figlia ed io), 151 ragazzi (21 alunni di 1Bg, 22 di 2Bg, 26 di 5Bg, 28 compagni di Francesca, 25 di Fulvia, 27 di Flavia): un assembramento virtuale! Mio malgrado ho ascoltato frammenti di lezioni, di interrogazioni, di Pon, progetti extracurricolari, percorsi di cittadinanza e di orientamento; le strategie messe in campo dal nemico, gli alunni, non hanno segreti per me grazie alla mia intelligence familiare, le mie figlie, che sto osservando nel loro adattamento a questa scuola liquida. Ritengo dunque di avere abbastanza esperienza per avere voce in capitolo dopo un intero anno di Dad. 

La prima evidenza che mi balza agli occhi è la stanchezza: la mia innanzitutto perché ho seri problemi di vista che non recupererò di certo. Intere giornate e serate trascorse davanti al monitor per le lezioni, la compilazione del registro elettronico, l’assegno e la correzione dei compiti su classroom, la comunicazione via whatsapp con colleghi, alunni, famiglie, la lettura e scrittura di e-mail, l’aggiornamento, la formazione, le riunioni degli organi collegiali, gli incontri con i genitori, i gruppi wa con i genitori dei compagni delle mie figlie… Chi più ne ha più ne metta! La stanchezza della routine e dell’isolamento: mai come in questo periodo ho avvertito forte la mancanza dell’incontro coi colleghi in corridoio, lo scambio di un parere, di un sorriso che tanto fa bene all’animo; ho avvertito forte la mancanza dell’incontro con gli alunni, con i loro sguardi sicuri o timidi a seconda che abbiano studiato oppure no, che sono una finestra nel loro mondo interiore, a volte una richiesta di aiuto che è impercettibile nel mondo a due dimensioni del monitor: a me piace quando riesco a catturare in aula la loro attenzione al punto che mi osservano trasognati mentre spiego la grande tragedia attica o il concetto di felicità in Seneca. Mi manca l’erotica dell’insegnamento, l’energia passionale del gruppo classe che, come la folla dei fedeli in un grande santuario della fede, può generare i miracoli.

Eppure sono una che ha creduto nel valore salvifico della Dad. Nello scorso marzo, da pionieri, prima ancora che lo scrivesse l’Azzolina, prima ancora che il mio istituto decidesse di adottare una piattaforma uguale per tutti, io ed i miei alunni abbiamo sperimentato le prime lezioni on line su piattaforme libere, gratuite e soprattutto sicure. Era l’unico modo per stare in contatto durante il lockdown; allora la Dad è stata l’ancora che ci ha salvati dalla pigrizia, dallo scoramento, dalla depressione; ci ha dato lo sprone per alzarci al mattino con un obiettivo: stare insieme, parlare di quello che stava accadendo, condividere stati d’animo, riflessioni, paure ed anche speranze, aspettative; abbiamo fatto di necessità virtù e ci siamo inventati le lezioni alternative: sono sicura che i miei alunni non se le dimenticheranno mai le letture corali di quei primi mesi di pandemia, quella sorta di Decameron dell’era covidiana che ci siamo inventati con una lettura al giorno; ho organizzato incontri con scrittori, attori, scienziati, l’orientamento universitario con gli ex alunni. Abbiamo chiuso l’anno scolastico con la promozione in tasca e con tanta voglia di tornare a scuola e rivederci a settembre (aspettative mai nutrite prima di allora!). Insomma la Dad dei primi tempi dell’era covidiana ci è piaciuta perché è stata un grande laboratorio di sperimentazione didattica, anche se abbiamo sempre espresso una preferenza per la scuola in presenza (ci ho scritto vari post ed articoli in merito e non ho mai cambiato idea). 

Sono stata infatti felicissima di tornare a scuola il 1 ottobre: ho potuto vedere tutti i miei studenti, dal momento che hanno frequentato per due settimane, giusto il tempo di avvicendarsi nei due gruppi in cui le classi erano state sdoppiate. Da allora in Campania ed a Castellammare di Stabia, la mia città, siamo in Dad in maniera continuativa. Ebbene, fino a dicembre i ragazzi apparivano ancora motivati: arrivavano a lezione vestiti di tutto punto, le ragazze anche con un filo di trucco e i capelli rigorosamente in ordine. Le mie figlie non sopportavano che io entrassi nella stanza dove facevano lezione perché quella era la loro scuola, uno spazio di intima condivisione con i compagni e gli insegnanti. Senza farlo apposta, però, durante le mie pause ho ascoltato lezioni di tutte le discipline ed ho avuto modo di apprezzare la maggior parte dei miei colleghi (qualcuno, a dire il vero, l’ho anche detestato!) e devo riconoscere che noi insegnanti italiani ci siamo saputi reinventare un mestiere con sagacia, determinazione e grande creatività.

Dopo la pausa natalizia poi la fumosità dei vari decreti ministeriali, l’assenza di precise indicazioni della Ministra e di un piano di formazione hanno generato l’ansia della valutazione quadrimestrale e noi docenti abbiamo interpretato la didattica a distanza come una trasposizione degli stessi metodi di insegnamento, delle stesse modalità di verifica e valutazione della scuola in presenza; alla ripresa di gennaio i dirigenti scolastici hanno imposto ai collegi di effettuare “un congruo numero” di verifiche sia scritte che orali ed abbiamo programmato compiti ed interrogazioni, abbiamo assegnato power point e lavori individuali e di gruppo (perché ci si è messa anche l’educazione civica!); a tutto questo abbiamo aggiunto una buona dose di legittima diffidenza verso gli alunni che ne sanno molto più di noi quanto a trucchi e magheggi del web e, nel dubbio, abbiamo considerato tutti colpevoli senza appello ed abbiamo abbassato i nostri parametri di valutazione. Ecco perché, adesso che ci avviamo verso la fine dell’anno scolastico, la riapertura promessa dal Ministro Bianchi suona alle orecchie dei nostri ragazzi come una minaccia: saranno bombardati da verifiche autentiche! 

Ho notato una trasformazione preoccupante, a partire dalle mie figlie: si è passati dai maglioncini alle giacche delle tute e addirittura alle vestaglie in pile, i capelli erano ribelli (e non solo per la chiusura dei parrucchieri), gli sguardi spenti, alcuni ragazzi parlavano con un filo di voce; a casa mia un grande nervosismo, scatti per un nonnulla, ritmi di studio mai sostenuti prima. Per la necessità di verificare e valutare secondo le pratiche didattiche della scuola in presenza, la Dad aveva perso ormai quel ruolo aggregante che ha avuto a marzo/aprile 2020 ed era diventata un assillo, una fonte di ansia per i più bravi (vessati da docenti e compagni) e nel contempo un piccolo palcoscenico per i furbetti di sempre. E sì perché nella scuola a distanza ci sono anche i suggerimenti via whatsapp, le interrogazioni programmate, le ore in cui la connessione schizza e quelle in cui salta, i momenti in cui non funziona la webcam o il microfono non si attiva, la spiegazione noiosa in cui “freezo” la mia immagine… E poi la complicità dei genitori è la vera ciliegina sulla torta: col fatto che la scuola è stata accolta in casa di tutti, che ogni famiglia si è fatta carico delle spese per connessione e dispositivi, noi genitori ci sentiamo autorizzati a suggerire, ad intervenire sempre e comunque in difesa dei nostri pargoli, a criticare i docenti sui gruppi whatsapp, a dire che è migliore la Dad o che è meglio riaprire le scuole.

Quale modello sta passando dunque a questi ragazzi? Quello che in tanti, tra docenti e dirigenti, lamentiamo da una decina di anni: una scuola divenuta un mondo rovesciato, ipocrita, in cui non c’è il rispetto dei ruoli, non c’è fiducia nella professionalità docente che pare esercitarsi nel mettere voti, nel fare quel “congruo numero” di verifiche, anche brevi, veloci, ma sufficienti per evitare i ricorsi delle famiglie, nel tenere il registro a posto, soprattutto adesso che le nostre valutazioni sono a vista dei genitori. E’ una scuola che non guarda più alle conoscenze profonde, alle prospettive di ampio respiro ed a lungo termine, alla capacità di riflettere, di analizzare, di elaborare un punto di vista critico, che trasmette i valori del dialogo, del confronto democratico, dell’incontro intergenerazionale. Quella che ha fatto irruzione nelle nostre vite con la Dad è una scuola che sviluppa altri talenti, altre competenze: saper risolvere problemi col minimo sforzo, col massimo successo e nell’immediato, riuscire ad organizzare la giornata scolastica nel modo più vantaggioso per sé e, nella migliore delle ipotesi, per altri compagni, scegliersi il ruolo sociale più congeniale, leader, gregario, sottoposto, riuscire ad ottenere il massimo risultato anche fregando il prossimo. Tutto questo risponde alla prospettiva neoliberale che già da anni sta cercando di entrare nella scuola italiana. Quindi, quando parlo con le mie figlie ed i miei alunni ed ascolto i loro discorsi, le loro lamentele perché hanno perso un anno della loro vita, hanno perso la vitalità, le gite scolastiche, le feste di compleanno, la possibilità di conoscere un ragazzo, frequentarlo, innamorarsi; quando li sento dire che in questo primo anno dell’era covidiana hanno avuto una vita d’altri tempi, che hanno vissuto come le ragazze e i ragazzi dei secoli scorsi, chiusi in casa a studiare come Giacomo Leopardi, in una dimensione esclusivamente familiare; ebbene penso che in realtà hanno fatto il più grande esperimento sociale che li abiliterà alla managerialità e li renderà degni della definizione di “capitale umano”.

Foto di Varun Kulkarni da Pixabay 


Opinione dei lettori
  1. Nunzia   Di   14 Aprile 2021 alle 19:29

    Molto bello, Valeria! Il tuo articolo entra veramente nelle “carni vive” della realtà che viviamo. Grandissima la profondità dell’analisi che proponi. Grazie.

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